Sociologia e politica del coronavirus. Tra opinioni e paure
Synopsis
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non Commerciale-Non opere derivate 4.0 Internazionale (CC-BY-NC-ND 4.0) nella collana Sociologia
L’irruzione della pandemia da coronavirus nelle nostre vite ha rivoluzionato non soltanto la quotidianità di ciascuno di noi ma anche il funzionamento dei nostri sistemi sociali. Ci ha posto di fronte all’evidenza che la prevenzione nei confronti dei pericoli (“naturali”) e dei rischi (indotti da noi) non è più soltanto un’opzione ragionevole: è un’urgenza senza alternative.
In questo senso il valore aggiunto della sociologia consiste nella comprensione dei processi sociali e culturali attraverso cui gli attori definiscono il danno incombente, la gravità del suo impatto e le misure per affrontarlo. In breve, la costruzione sociale di un fenomeno estremo come la pandemia.
Gli interrogativi cui rispondere riguardano il perché per interpretare un virus e un contagio del tutto inediti noi ricorriamo a immagini delle pestilenze del passato, perché la guerra diventa la metafora per rappresentare il morbo, perché vacillano i tradizionali modelli di governance, perché, soprattutto, di fronte al danno incombente i governi centrali e locali stentano ad intraprendere azioni tempestive, coordinate ed efficaci.
La risposta viene cercata mettendo a confronto l’esperienza della Covid-19 con quella della Sars nel 2003, due epidemie che, pur nella radicale diversità dei loro esiti, presentano impressionanti analogie. L’analisi non si focalizza unicamente sulla “realtà” dell’emergenza, cioè sui contagi e sui decessi, sui tassi di rischio, sulle decisioni e sulle misure adottate, ma anche sul modo in cui i soggetti sociali – dal basso (“la gente”) e soprattutto dall’alto (politici, media, scienziati) – interpretano la situazione e costruiscono la cornice di senso entro la quale l’emergenza è stata definita, valutata e affrontata. Modificando significativamente la realtà stessa nella quale ci troviamo a vivere.